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Gli articoli della redazione Radio FSC

17 Maggio 1972

24/5/2022

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di Francesca Bruschi
Se tutti i mesi fossero dei libri della mia libreria, direi che Maggio è Il libro “La crepa e la luce. Sulla strada del perdono. La mia storia” di Gemma Calabresi Milite.
Il mese di Maggio è un anniversario importante per tutti, anche per chi non si ricorda o non conosce questa storia: è l’anniversario della morte del commissario Luigi Calabresi, causata dagli spari di alcuni esponenti di Lotta Continua, a Milano, il 17 maggio 1972. Una data che riecheggia nelle righe di questo libro, che rappresenta una delle più grandi testimonianze di vita, intesa e vissuta in tutte le sue sfaccettature.
Questa è la storia di Gemma Capra che, prima di essere moglie e madre, è stata ed è tutt'ora in questa vicenda una Donna che possiede il più grande dei poteri: donare speranza.  
Il primo seme di Gemma risiede in quella forza in primis nata  proprio dallo sguardo che essa ha avuto nei confronti degli assassini di suo marito: uno sguardo di umanità che li rende non più solo assassini, ma anche e soprattutto persone che vivono la vita come tutti noi.
Uno sguardo di umanità le ha permesso di trovare, anche nell’abisso più totale e triste della vita, una libertà che le ha donato luce allo sguardo, consegnando loro una dignità. 
Ecco il secondo germoglio di Gemma: il silenzio e la preghiera, due parole che ormai ella sente fin troppo sue e che sono necessarie per camminare sulla via tortuosa del perdono, il suo più fedele compagno in questo lungo cammino.
Quel fedele compagno generato dal seme più grande di tutti per Gemma: la fede, che le fu donata proprio quella mattina, quando, dopo aver dato sfogo alla sua rabbia, crollata sul divano e investita dall’onda d’urto di un’esplosione, proprio lì, incontrò Dio.
Quindi, la sua fede pura e trasparente, che ha definito essere come uno stile di vita, adesso la guida in ogni sua scelta di vita.
Essa dice che non toglie dolore, ma fa vivere in maniera diversa, regalando ogni giorno speranza.
La stessa speranza che fa germogliare dentro il cuore il perdono che non si dà ragionando con la mente, ma col cuore, in quanto è un dono e bisogna regalarlo con amore.
Lo stesso amore che si può provare ancora per la vita, anche dopo una tragedia di questo tipo, che si può sentire anche nei confronti delle persone che hanno compiuto un male.
Quando Gemma era piccola, sapeva già che per stare bene bisogna saper condividere il privilegio con chi non ne ha affatto: adesso gli anni sono passati, ma lei agisce sempre alla stessa maniera, condividendo con noi il suo libro, una delle prove più grandi del suo privilegio.
I tre fiori di Gemma, così, sono germogliati col tempo e adesso sono più forti e vivi che mai.
E uno di questi, oggi, va proprio a Luigi Calabresi.


Guarda l'intervista a Gemma Milite Calabresi QUI
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30esimo anniversario strage di Capaci

23/5/2022

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23 maggio 1992, 17:58 
500 chili di tritolo esplodono sull’autostrada Trapani-Palermo, all’altezza di Capaci, spezzando la vita del magistrato Giovanni Falcone, della moglie Francesca Morvillo e degli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. 
Cosa Nostra, con questo atroce gesto, pensa di aver sconfitto definitivamente uno dei suoi più grandi nemici. 500 chili di tritolo, però, non sono bastati a spegnere la voce di Falcone. Il suo coraggio, la sua umiltà e la sua determinazione continuano a infiammare gli animi di milioni di italiani. A costo della vita, è riuscito a dimostrare che la mafia non è imbattibile, ma al contrario è vulnerabile, è processabile. 
La mafia è un mostro silente, essa si nutre del silenzio per andare avanti. Per combatterla e per sconfiggerla dobbiamo rompere questo silenzio, dobbiamo ricordare a gran voce Falcone, Borsellino e tutti coloro che hanno sacrificato tutto per indicarci la via da seguire e per permettere a tutti noi di non inginocchiarci più alle ingiustizie. 

“La mafia è un fenomeno umano, e come tutti i fenomeni umani anch’essa ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine” -Giovanni Falcone

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Lunedì e Simmetrie

18/4/2022

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di Maria Antonietta Bruscella
Mi sono sempre impegnata ad avere una scrittura che fosse ordinata, mi ci dedicavo e mi dedico con cura ancora adesso, con una cura tale che, alla fine, ci impiego il doppio del tempo, o meglio, ci impiegavo, perché ormai sono diventata veloce anche con la calligrafia imposta.
Eppure, per quanto io mi sforzi di scrivere bene, se ho bisogno di appuntarmi una cosa al volo, se vado di fretta, se non riesco a stare al passo mentre prendo appunti, la mia vera natura, o meglio, la mia vera scrittura, salta fuori.
La cosa che mi fa, però, più ridere è mettere a confronto due pagine, scritte dallo stesso pugno, come due metà speculari, che di simmetrico non hanno nulla, a parte le righe del foglio, s’intende. Sembrano scritte da due persone diverse, eppure io sono sempre la stessa. La calligrafia, l’ossessione per la bella scrittura, è una di quelle cose che mi porto dietro fin da quando sono bambina, è una di quelle cose che mi porto dietro perché una che è nata il 25 agosto, sotto il segno zodiacale della vergine, non può scrivere male, non può essere disordinata, perché quelli del segno della vergine sono dei maniaci dell’ordine e della precisione, delle persone estremamente razionali, pacate, che guardano il mondo con occhi lucidi.
Io mi guardo allo specchio e, nella simmetria di un pezzo di vetro, vedo tutto fuorché ordine, precisione, razionalità e mi domando com’è che sono nata sotto questo segno zodiacale se non mi ci rivedo neanche un po’. Eppure, una cosa me la riconosco: uno spirito, anzi, una tensione al sacrificio, al sacrificio di essere come la società ha detto che dovevo essere, ovvero ordinata, razionale, precisa. E, allora, è così che a sei anni io mi sforzavo di scrivere bene, a 15 anni di tracciare circonferenze a mano libera manco fossi Giotto e a 25 anni di ordinare, con una cadenza quotidiana, l’armadio dei miei vestiti. Dio mio, che disastro.
Quando apro l’armadio, lì dentro ci ritrovo gli esiti di un bombardamento ad Hiroshima, io mi ricordo chi sono, chi sono veramente. Il mio armadio è la simmetria della mia testa, anzi no, della mia natura, non affatto speculare al segno zodiacale della vergine, quella storta, incoerente, confusionaria e incasinata.
Per fortuna, l’armadio si chiude e le simmetrie dell’apparenza tornano in ordine, fin quando non lo riapro di nuovo.
Le simmetrie, le inseguo da una vita, ma non mi sono mai riuscite: impegno massimo, risultato pessimo.
Non so resistere alle cose simmetriche, due metà identiche di una mela, una foto perfettamente in linea con l’orizzonte, i maglioni ordinati per colore e dimensione, in ordine decrescente. E ho capito che non posso farmene una colpa, continuerò a fare foto storte anche se uso tutti gli accorgimenti del caso, le guarderò, mi innervosirò perché la mia convinzione di aver fatto un buon lavoro sarà andata in frantumi e poi già so come reagirò: espressione di disgusto mista a rassegnazione, telefono in tasca e un sereno “vabbè ci sono gli altri che fanno le foto, tanto io su
Instagram non pubblico, mi godo il panorama”.
E, tra questo pensiero consolatorio e una galleria piena di immagini che non conoscono prospettiva, mi chiedo perché siamo così tanto ossessionati dalle simmetrie. Dalle simmetrie della vita: vogliamo sempre che le cose vadano secondo i nostri piani, secondo una linea precisa che non conosce curve, strane deviazioni e brusche interruzioni. Ma la vita non è fatta di simmetrie, la vita è imprevisti, è come non volevi che andasse e invece ti presenta il conto, senza resto e con il portafogli pure vuoto. Ci ostiniamo a tracciare bisettrici, metà perfettamente esatte e puntualmente le simmetrie dei nostri pensieri fanno a cazzotti con la vita vera. E allora basta, basta provare a far combaciare tutto secondo i nostri piani, che tanto la vita ti sorprende sempre e non ci sono teoremi geometrici che tengano. E quindi che fai? La prendi come viene, con le simmetrie messe da parte nel cassetto, con la consapevolezza che tra il volere e la realtà non ci passa una linea retta, ma una curva di imprevisti che non puoi che accettare. E il giorno dopo? Ti svegli, provi a mettere ordine in quell’armadio di simmetrie di vorrei e, finalmente, prendi in mano la tua vita, che in fondo le simmetrie, lo sai anche tu, non ti sono mai piaciute.
Ore 07:30, la sveglia. E già che ci sia una sveglia, la dice lunga, perché? Beh, vuol dire che il weekend è (di nuovo) solo un lontano ricordo. Ore 07:35, dopo il caffè doppio,  che oggi era più amaro del solito, sarà colpa del lunedì, guardi fuori nella speranza che almeno ci sia il sole (per i meteoropatici l’assenza di sole il lunedì è peggio di un analcolico il sabato sera). Ore 07:50, trascinando i piedi, provi a dare un senso lavorativo ad una giornata che avresti preferito passare a letto. Ma mica te la puoi prendere con il mondo, in fondo, è solo lunedì, cioè, il lunedì ha un protocollo di giornata di merda da rispettare, un protocollo ben rodato, aggiungerei.
Il lunedì è quel giorno della settimana in cui tutto sembra più difficile, in cui ognuno di noi si sente un po’ come Sisifo alle pendici della montagna troppo alta da scalare, in cui non ce n’è una che va per il verso giusto, il lunedì è quel giorno in cui, probabilmente, milioni di persone imprecanti un “è proprio lunedì”, gli attribuiscono l’origine di errori e imprevisti capitati. Bell’effetto placebo, sicuramente più valido di una Tachipirina 500 che, purtroppo, è efficace solo per la tosse, sì, quella vera, non quella dei tuoi pensieri.
"Ci vorrebbe una domenica pomeriggio per ogni lunedì che non ho saputo iniziare", qualcuno cantava, molti condividevano, pochi dissentivano. Io faccio parte di quei pochi. Io penso che ci vorrebbe un lunedì mattina per ogni domenica che non ho saputo apprezzare. Non la capisco questa esigenza della nostra società di demonizzare il lunedì, di vivere la domenica non perché si vuole viverla, ma solo perché il giorno dopo è lunedì.
Vi svelo un segreto: quell’illusione che tanto ci piace, quella del weekend stand-by, dove tutto fila liscio, dove le sveglie non sono puntate e i problemi non esistono, è solo un’illusione. Stand-by, vuol dire sospendere, mica risolvere: il lunedì è lì pronto che ti aspetta, con il conto in sospeso della settimana prima, tutti in fila.
Ma perché ci ostiniamo contro il lunedì? Perché tutti con sta storia che la domenica è sempre una splendida giornata, che “ah, t’immagini se fosse sempre domenica”, “eh la domenica non arrivano le mail”? Io la domenica non la sopporto. Mi sembra di andare alla fiera dell’ipocrisia, quella del va tutto bene, ma solo fuori, dentro no.
E vi dico una cosa, anzi, la urlo a gran voce: il lunedì è il giorno per ricominciare. L’avete mai pensato così il lunedì?
Il lunedì è l’inizio, il lunedì è la vita che nasce, il lunedì è il tempo di risorgere, di affrontare, di scalare quella montagna di problemi che, se va male, stai tranquillo, c’è un altro lunedì. Per me il lunedì ha un retrogusto di vita non vissuta, ma da vivere, per me il lunedì è il giorno in cui l’araba fenice risorge dalle ceneri e ce la mette tutta. E allora, anziché ritardare la sveglia, questo lunedì, alzatevi dal letto, allacciatevi le scarpe e uscite fuori ad affrontare il mondo, perché, anche se il
sole non ci sarà, il lunedì mattina saprà sempre un po’ di libertà.
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Ricordando Sarajevo

15/4/2022

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di Laura Sicilia

Foto
Sarajevo sotto assedio è la storia di un cane che gironzola fra i palazzi distrutti, di un uomo che cammina fra i ruderi di un treno, di un ragazzo che rovista fra i rifiuti cercando di accaparrarsi un po' di cibo, di un ospedale pieno di feriti. Ma è anche il calore di una domenica estiva passata fra le rive del fiume Milijaka, di due anziani che si abbracciano, di una festa per la riapertura di un giornale. I volti prosciugati e segnati dalla difficile scelta di rimanere nel proprio paese vedendolo sgretolarsi giorno dopo giorno.

Fotogrammi di vita, di questa straordinaria macchina che continua anche sotto i bombardamenti. La quotidianità che cerca di farsi largo fra violenza e crudeltà, fra il freddo e la fame durante il più lungo assedio della storia del XX secolo.

E forse è proprio questo il palliativo al dolore: attimi di normalità mentre si alza il volume della radio per non sentire il rumore delle bombe, mentre si va al mercato a fare la spesa sotto il tiro dei cecchini, dei fiori che crescono attorno alle macerie, del sorriso di un bambino che continua a giocare per strada mentre accanto passano i carri armati. Continuare ad essere umani durante un evento talmente disumano come la guerra.

​E allora uno scatto in bianco e nero potrà colorizzarsi, iniziando dal rosso, il colore dei papaveri. 

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Mi piace

23/3/2022

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di Federica Rino
Mi piace chiedermi se, quando nessuno mi guarda, io sia la stessa persona o una completamente diversa. 
Mi piace pensare e immaginare, quando guardo qualcuno, “ma è veramente così?”.
Quando sono in treno, mi piace osservare le persone.
Mi piace guardare come sono vestiti, immaginando il motivo per cui anche loro stanno andando in quel posto. 
Mi piace sorridere ad una persona con cui incrocio il mio sguardo. 
Mi piace fare i complimenti alle persone, anche se non le ho mai viste prima d’ora. Può svoltargli la giornata. 
Mi piace stare sempre in compagnia o forse è solo per non pensare? 
Mi piace credere di essere una persona coraggiosa. 
Mi piace cantare davanti allo specchio mentre mi preparo. 
Mi piace, ogni tanto, scappare dagli altri. 
Devo ricordarmi di portare tutto con me. 
Mi piace fare lunghe passeggiate.
Mi piace sorridere. Rido per tutto, ma non sorrido con tutti. 
Mi piacciono le foto. 
I momenti rimangono lì. 
Mi piace il silenzio, il metro di giudizio che definisce il mio stare bene con una persona. A volte mi frega. 
Mi piace ballare.
Mi piace il mare.
Mi piacciono le onde. 
Mi piacciono le altalene.  Un po’ meno quelle di emozioni. 
Mi piace il Montepulciano, il vino de “in vino veritas”. 
Mi piace ricordarmi di Gio Evan che mi dice che è meglio così e che sto andando benissimo. 
Mi piace quel bar della rabbia che mi fa sentire in una bolla il venerdì sera .
Mi piace sentire cosa mi viene detto, poche volte ascolto. 
Mi piace essere distratta.
Mi piace pensare alle cose da fare durante la giornata.
Mi piace lamentarmi. Non adesso.
Mi piace il testo di “Dog days are over”. Mi fa tenere a mente le cose. 
Mi piacciono le “cartelline trasparenti” che, come qualcuno mi ha detto, dovremmo utilizzare più spesso per conservare tutto, tutti. O non proprio. 
Non mi piace, però, nascondermi dai miei draghi di passaggio. 
Sto dipingendo quella parete che ho da sempre lasciato bianca. Grazie Gio.
Cazzo, 
Sto andando benissimo.
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Ma che colpa abbiamo noi

27/2/2022

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di Maria Antonietta Bruscella

Chi l’avrebbe mai detto: così, comincio a riavvolgere il nastro, poco a poco, fotogramma per fotogramma, fin quando la pellicola non segna una data. Settembre 1939.
Punto di non ritorno.

24 febbraio 2022, fuori è Carnevale, finalmente cominciamo a respirare un po’ di aria che sa più di vaccini, meno di covid, quasi di libertà. A Milano c’è la Fashion Week e qui a Modena un sole che fa abbassare i termostati del Gas (e meno male, per quello che costa). Oggi guardo su per il cielo terso, aspetto il volo di un aereo militare sulla mia testa, come quello dei video che mi ha mandato mio fratello dall’Expo di Dubai: stesso cielo, qualche, parecchio grado in più e un boato che ti atterrisce la voce e forse anche i pensieri.

“Avete paura?”
“Eh, un po’”.

Proseguo lenta a riavvolgere il filo di Arianna dei miei pensieri. Oggi siamo tutti cittadino del mondo, Che belle parole, come se bastassero quelle a metterci l’anima in pace. Condivido un tweet, una storia di Will Italia che mi spiega cosa sta succedendo ai confini non meglio precisati dell’Europa e la foto di quei due ragazzi con le mascherine, che si tengono la testa, che fa un po’ indie e poi che bello pensare che l’amore vince su tutto, che vince pure sulla guerra, o forse no, ma non è un mio problema, in fondo, ho fatto tutto quello che url decalogo del buon cittadino mi richiede di fare. Quindi, nascondendo con un po’ di correttore i mostri della mia coscienza, mi sembra piuttosto pulita…Già, mi sembra…Piuttosto.

Mi guardo introno, i bambini sono vestiti da Spiderman e dall’intramontabile Biancaneve, i marmi bianche della Ghirlandino riflettono i palloncini colorati: botti, coriandoli e la città in festa. E dall’altra parte? Botti, esplosioni e le città in ginocchio. Che ipocrisia questo tempo che ci illude, questo secolo che ha fatto dell’abbattimento delle distanze e della globalizzazione i suoi stendardi, adesso, guarda attonito la sua sconfitta. Hai fallito. Di nuovo, miseramente. Adesso, proprio adesso che bisognava annientare le distanze (e non le città), ci allontaniamo per sentirci più vicini. Lo vedo, è lì, con la faccia tra le mani questo secolo che guarda attonito gli esiti disastrosi del suo personale fallimento.

Forse non è nemmeno colpa sua e nemmeno colpa mia, tua, nostra. Del resto, perchè dovrei sentirmi colpevole io, briciola di questo opulente lato di mondo, se sta guerra la combattono a colpi di tweet e non di tavoli diplomatici? Che colpa ne ho io se non sono nato dal lato sbagliato del mondo? Se la mia preoccupazione della settimana è stata vedere in frantumi il matrimonio di Totti e Ilary? Che colpa ne ho io se, fuori, il mondo accade?
E allora mi limito a fare quanto basta, come il sale nella ricetta della crostata di mele.
Entro su Instagram, scrollo la home, Ansa, post, condividi la storia.
E anche oggi ho soddisfatto la mia dose di coscienza. Ma adesso basta, che devo guardare le sfilate della Fashion Week. 
​

Foto
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Ogni tanto penso, poco.

29/12/2021

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di Davide Zappia
A rilento, impercettibile, apaticamente fioca, l’eleganza scivola e lo sgraziato affiora. Ineccepibile l’insegnamento con il quale, a tarda età, essa si sprona, eppure, nel bisogno o nel pur diletto la struttura si “destruttura” e l’inconcluso, l’inconcludenza onora. Numerosi i tentativi per prepararci al meglio all’avventura: corsi di stile, personalità: architettura.
In men che non si dica gli allievi divennero docenti e della più gran statura! Alla ricerca del minimalismo, nel cogliere la più lieve sfumatura; la superficialità e l’inezia diventarono arte e l’esitazione bravura.
Fra tutti questi cattivi pensieri, io, profondamente mi discosto. Persuaso dalla bellezza della concretezza, che per quanto mi è possibile, nella mia limitatezza fisica e mentale, cerco di perseguire.
​Nelle cose in cui credo, in tutto ciò che ritengo opportuno, valido.
Osando, sbagliando: imparando.
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