di Francesca Bruschi Giovedì 2 Marzo alle ore 21 presso il Teatro della Fondazione Collegio San Carlo, Caritas Diocesana Modenese presenterà alla città il documentario CONDÒMINI che racconta il problema abitativo presso il quartiere Crocetta-Sacca.
Durante l’evento interverranno Don Erio Castellucci, Arcivescovo di Modena-Nonantola, Federico Valenzano, vicedirettore di Caritas Modenese, Elena Bellei, responsabile della ricerca e Raffaele Pizzati Sertorelli, regista del documentario. Prodotto da Caritas Diocesana Modenese, il video nasce dall’esigenza di condividere gli esiti della ricerca-intervento Città Abit-Abile, che ha coinvolto 170 persone di 17 nazionalità diverse nel territorio del quartiere con l’obiettivo di animare la comunità locale generando un confronto tra soggetti differenti ma con pari dignità sociale attorno al problema abitativo. Quindi lo scopo è proprio quello di generare un confronto tra i soggetti cercando di promuovere una responsabilità condivisa perseguendo obiettivi comuni per combattere la povertà abitativa. La specialità di questo documentario è quindi mostrare il problema delle soluzioni abitative dal punto di vista delle persone che ci vivono, facendo sentire coinvolto lo spettatore e il normale cittadino che vive in un altro quartiere della città. Attraverso le parole degli abitanti e le immagini che verranno trasmesse il 2 Marzo si cercherà perciò di ricostruire una dimensione di vita pubblica e civile dove le persone possono incontrarsi al di là della dimensione del proprio bisogno e necessità per potersi riconoscere anche in persone che non sono nella stessa situazione, ma che comunque si possono sentire vicino. La ricerca si è instaurata secondo alcune interviste fatte a qualsiasi abitante nel quartiere utilizzando la metodologia della “scienza dialogica” sviluppata da un gruppo di studio capitanato dal professore Gian Piero Turchi del dipartimento di psicologia dell’Università degli Studi di Padova, che analizza il linguaggio ordinario che l’essere umano usa per interagire nella vita quotidiana, inteso sia nella forma orale, nella scrittura e nella sua forma gestuale. Attraverso queste interviste e domande aperte, si è colto il modo con cui gli abitanti del quartiere si assumono una responsabilità nel sapere di dover gestire delle problematiche abitative cercando di chiedersi in che modo si possano creare soluzioni a questo disagio. Uno dei tanti modi alternativi è stata quella dell’invenzione del gioco da tavolo “Crocettopolis” grazie al quale i più giovani abitanti del quartiere potevano rispondere a delle domande ben mirate per capire dalle loro risposte cosa volesse dire abitare nel quartiere Crocetta-Sacca. E’ un’occasione unica per tutti partecipare alla visione di questo documentario perché anche solo attraverso la presa di coscienza di questa situazione si può riuscire a cambiare qualcosa. La condivisione di emozioni, stati d’animo e speranze è sempre il miglior modo per iniziare a cambiare in meglio una situazione: modo con cui Caritas Modenese riesce sempre con cura e attenzione a fare stando al centro delle necessità della nostra comunità.
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di Marisa Toraldo What does it mean being self-taught in a strict discipline like dancing? And what about its sacrifices?
Cosa significa essere autodidatta in una disciplina così ferrea come la danza? Quali sacrifici ha comportato? Being a self taught in a strict discipline like dance, means doubling your efforts in order to constrain yourself, find how to learn, build networks of colleagues, learning networks… but it is also a form of freedom because you can learn differently, you can build yourself more freely. Yes indeed the dance shoes exist and allow a base on which to rest, a form of alignment, and at the same time they format a certain type of performer... Essere un'autodidatta in una disciplina rigorosa come la danza, significa raddoppiare gli sforzi per costringerti, capire come imparare, costruire reti di colleghi, reti di apprendimento...ma è anche una forma di libertà perché puoi imparare in modo diverso, puoi costruire te stesso più liberamente. Le scarpe da ballo è come se fossero una base su cui appoggiarsi, una forma di allineamento, e allo stesso tempo permettono la formazione di un certo tipo di performer... What are the differences between the western and the eastern world of dance? Quali sono le differenze che noti tra il mondo orientale e mondo occidentale sulla danza? The fundamental difference in any case concerning Morocco, the Maghreb, is that we have far fewer schools to learn but that there are other learning paths, which are appropriate to our cultures, our history. .There is also no break between tradition and modernity. La differenza fondamentale per quanto riguarda il Maghreb, è che abbiamo molte meno scuole per imparare ma ci sono altri percorsi di apprendimento che sono adeguati alle nostre culture, alla nostra storia. Non c'è la rottura tra tradizione e modernità. Corbeaux is the dance show which you like the most: it is a work in which essentiality plays an important role, and at the same time it gives us the idea of “unfinished”. The fact of working with the same company for 8 years can be considered as an essentiality’s metaphor for continuous evolution? I love Elephant for its songs. But I also like Corbeaux for his smug cries, it's different. And one goes with the other, one is in continuity or rupture. What is important is that the work has been woven for many years, with faithful companions and there is always openness to new encounters from elsewhere, Europe, and other generations. We do not forget where we come from and we are open to the link with elsewhere. Corbeaux è lo spettacolo di danza al quale sei più affezionata: lo descrivi come un lavoro in cui ci si deve concentrare sull’essenziale, ma che al tempo stesso lascia un’idea di “non finito”. Il fatto di lavorare con la stessa compagnia da otto anni può essere quindi metafora dell’essenziale che però è in continua evoluzione? Corbeaux mi piace per le sue grida compiaciute, è diverso. E uno va con l'altro, uno è in continuità o rottura. L'importante è che il lavoro sia stato tessuto per molti anni, con compagni fedeli e c'è sempre apertura a nuovi incontri dall'altrove, dall'Europa e da altre generazioni. Non dimentichiamo da dove veniamo e quanto siamo aperti al legame con l'altrove. It is curios the fact that each of your shows has the name of an animal, how about this choice? È curioso che ogni suo spettacolo abbia il nome di un animale, come mai questa scelta? Animal titles are short, beautiful. What we do connects me to nature and to the beings that inhabit this earth. It is quite funny to observe the animal comb and that of men... And in the eyes or ears of a child it is a title that makes sense. I titoli degli animali sono corti e di impatto. Quello che facciamo mi collega alla natura e agli esseri che abitano questa terra. È abbastanza divertente osservare l’anima degli animali che si coniuga con quella degli uomini...E agli occhi o alle orecchie di un bambino il titolo degli animali è un titolo che ha un senso. In this show of VIE Festival hope is the protagonist, and I would like to ask to you how to maintain hope alive in a digitized world, with many platforms that allow to enter in the world of dance in a non- conventional way like TikTok? In questo spettacolo del VIE festival la speranza è la protagonista e io vorrei chiederti come mantenere la speranza viva in un mondo digitalizzato, con molte piattaforme che permettono di entrare nel mondo della danza in un modo non convenzionale come tiktok? I prefer to be out of this and have more time. However, thinking about filmic and photographic objects interests me, but not for these platforms. Being withdrawn is a choice. Preferisco non parlarne, ci vorrebbe più tempo. Comunque, pensare agli oggetti filmici e fotografici mi interessa, ma non per queste piattaforme. Essere ritirati è una scelta. di Marisa Toraldo “To travel is to live”, recita un famoso detto.
Ma viaggiare, non è solo sinonimo di vita, anche di riflessione, aggiungerei. Circa una settimana fa, dopo un altro anno da fuorisede, mi trovavo in treno per tornare a casa. Solita routine: finisce l’anno accademico (o meglio, si cerca di mettergli un punto), si cerca di sistemare tutta la roba nelle valigie (chiuse a fatica), e poi, dopo i consueti saluti si torna a casa. Finalmente, direte voi. Finalmente, dicevo anche io. Eppure, non so perché, forse colpa del treno, o del troppo caldo, nel treno non ho fatto altro che pensare all’anno appena trascorso come metafora di un viaggio che comprendeva diverse fermate. Il treno è il mezzo che la maggior parte di noi vorrebbe evitare: troppo lungo il viaggio, il tempo “perso” tra i binari può essere impiegato trascorrendo una giornata al mare. Nonostante questo, il treno è il mezzo che riesce a mettere in pausa tutto ciò che ci circonda per un po’. Dopo il viaggio che mi è sembrato interminabile (ritardi compresi), mi è rimasto qualcosa su cui riflettere. Sull’aereo non abbiamo il tempo di salire, perché poi bisogna già scendere; la macchina raddoppia le distanze, ma di solito essendo in compagnia non sentiamo la fatica dei chilometri che aumentano. E poi c’è il treno, che solitamente prendiamo quando siamo da soli, quando magari le offerte dell’aereo sono terminate, e di cui tutti, almeno una volta nella vita, abbiamo avuto da ridire. Se ci facciamo caso però, è proprio il treno il mezzo più rivoluzionario, e oserei dire travolgente. “Oggi prendo il primo treno che passa e vediamo dove mi porta”: quante volte sentiamo dire questa frase, e altrettante volte risulta effettivamente realizzabile con questo mezzo di trasporto. Saliti quindi su un treno casuale, o su un treno prenotato da giorni, l’alternarsi di paesaggi è indubbiamente affascinante. πάντα ῥεῖ, "tutto scorre", tutto cambia, è questa la percezione che ho avuto osservando meglio ciò che c’era al di fuori del mio finestrino. I paesaggi rappresentavano i diversi episodi della vita o semplicemente dell’anno appena trascorso, io da spettatrice mi limitavo a ripercorrerli. Poi c’erano le persone intorno, con le loro storie, con i loro gesti: ho assistito a episodi non particolarmente piacevoli, ma anche a dimostrazioni di gentilezza e cortesia. Il bello del treno è che induce a pensare, perché tutto ciò che succede intorno è il riflesso di quello che si vive attivamente nella vita di tutti i giorni. Spetta a noi decidere se lasciarci travolgere dai pensieri, o “distrarci” portandoci avanti con i nostri futuri impegni. La prima opzione è quella che per me ha avuto la migliore, e devo dire di essere rimasta soddisfatta. Di solito per far affiorare i ricordi usiamo foto, video, profili social: in questo ritorno invece, ho sfruttato il treno. Le sette ore di viaggio erano tante, ma mai come stavolta ho apprezzato il senso del viaggio: “to travel is to live” (due volte) – in fondo il treno non è così male come pensavo-. di Elia Pitzalis La prima volta che ho pensato di scrivere questa nota tornavo dall’Università, a piedi.
Me la stavo spippeggiando, come succede molto spesso durante il giorno. Ad un certo punto, passeggiando in via Emilia, ho pensato di levarmi gli occhiali, e camminare senza. Volevo immaginare come si vede, o anzi, come non si vede, il mondo senza gli occhiali. Ora, fortunatamente non sono cieco, ho sempre visto bene o male dove mettere i piedi; mi manca solamente poco più di un grado. Tralasciando il classico mal di testa, quasi da post sbornia, che mi è venuto circa dieci minuti dopo, mi sento di fare delle considerazioni. Nel 2020, in quel periodo in cui era vietato uscire di casa, se non per andare al Conad o in Terapia Intensiva, ho iniziato a seguire uno YouTuber: il suo nome é Yari Ghidone. Prima di diventare uno YouTuber, Yari vendeva fumetti nel negozio dello zio, a Torino; piano piano, ha maturato il desiderio di uscire dalla città, prima a bordo di una Peugeot, poi a bordo del Ducatone, il suo camper. Vive pressoché da solo; ha un cane, un cocker: un cane bellissimo, anzi, bellissima. Lo accompagnano i suoi circa 130.000 iscritti sul canale e tutti gli altri pazzi sclerati, che, come lui, hanno scelto di vivere in un camper. Ho iniziato a seguire, anche io, piano piano, altri canali simili. Uno di questi si chiama Keep Enchanted: resta incantato. In questo canale una coppia racconta le sue avventure, i posti che visita, dalle spiagge alle montagne, di tutta Italia e non solo. Una figata! Questa era una piccola introduzione. Sulle note di che fantastica storia la vita. Anche se in realtà non la sto ascoltando, posso dire che vedere il mondo senza gli occhiali non é bello. Non vedi i dettagli, non vedi i bordi delle immagini. Non distingui le targhe delle macchine, non vedi le persone da lontano, non riesci a leggere i cartelli. Non vedi il rami e le foglie degli alberi. Quando non porto gli occhiali, sono costretto a guardare giù, riuscendo a vedere chiaro solamente pressoché i due metri in prossimità dei miei passi. Oltretutto, ripeto, mi viene un mal di testa come se la notte prima avessi mischiato birra, vino rosso, Gin Tonic e Aperol liscio. Oppure, molto peggio, come se avessi bevuto due litri di Lambrusco. E, la vita la vita e la vita l'é bella, l'é bella basta avere l'ombrella, l'ombrella ti ripara la testa. Basta avere l’ombrella, a volte un caffè, a volte due AirPods. A volte bastano le persone. Quelle a cui vuoi bene, naturalmente. Se ti stanno sul cazzo, ovviamente, meglio stare da solo, e iniziare la diretta di uno Spritz In Tour. È brutto essere tristi, ma fin qua, penso che tutti saremmo d’accordo. Ma io penso che essere tristi, in questo mondo e con la fortuna che abbiamo, sia anche molto, molto, irrispettoso. Irrispettoso verso le belle persone che ci circondano, irrispettoso verso noi stessi, o verso tutti quelli che contribuiscono a rendere una diversa dall’altra, tutte speciali, le nostre giornate. Mannarino canta, anzi urla: una vita che canta da sola mentre grida in un coro Eh sì, é vero: siamo sempre soli, ma siamo sempre anche con gli altri. Non è un banale gioco di parole, non é una banale sega mentale. Taglia i ponti con tutto, vai a fare un giro, cambia nazione Cambia amici, cambia tutto quello che devi cambiare Sennò trova un modo per fartela andar bene Non penso sia sempre necessario tagliare i ponti con tutti, cambiare nazione, cambiare vita. Ma chi ha voglia di saltare davvero? Mischiare le carte, ripartire da zero, il rischio di perdere quel Poco che c'hai e fare in modo che un giorno dirai: "Cazzo, potevo" Potremmo farne a meno Perché, la realtà, la matematica, vuole che questo mondo é per noi praticamente infinito. 80 giorni non bastano per girarlo tutto, per conoscerlo: non basterebbe un’intera vita. Non basterebbe un’intera vita per conoscere tutto e tutti, stupirci, essere sempre più contenti e incantati. Un altro dei motivi per cui non possiamo essere tristi. Dobbiamo vedere il bello negli altri e in ciò che ci circonda. Certo, con quegli occhiali da sole, quelle lenti verdi da usare quando non ci sentiamo in forma. In linea di massima anche se, La vita é come prendere un treno affollato d’estate Tocca dividere l’aria con piccoli stronzi e vecchie sudate. La vita é sempre una storia fantastica, specialmente la nostra, quella in tempo reale. E se ci viene un dubbio andiamocene chissà dove, a cercare lo stesso benessere, dove non siano richieste tessere. Scendiamo in strada, perché non c’é mai modo migliore di ricominciare. Saper leggere il libro del mondo Con parole cangianti e nessuna scrittura Scegliamo quale sia la nostra via; qualche volta ci sarà una deviazione, dovremo proseguire obbligatoriamente a destra o a sinistra. Ma partiamo con il motto Voglio godermi un po’ la strada siamo anime schizzate nel deserto all’improvviso c’é un cartello che ci avvisa “Benvenuti in Paradiso” Tanto andrà tutto bene fino al giorno che verrà il giorno di ordinaria follia di Francesca Bruschi Se tutti i mesi fossero dei libri della mia libreria, direi che Maggio è Il libro “La crepa e la luce. Sulla strada del perdono. La mia storia” di Gemma Calabresi Milite.
Il mese di Maggio è un anniversario importante per tutti, anche per chi non si ricorda o non conosce questa storia: è l’anniversario della morte del commissario Luigi Calabresi, causata dagli spari di alcuni esponenti di Lotta Continua, a Milano, il 17 maggio 1972. Una data che riecheggia nelle righe di questo libro, che rappresenta una delle più grandi testimonianze di vita, intesa e vissuta in tutte le sue sfaccettature. Questa è la storia di Gemma Capra che, prima di essere moglie e madre, è stata ed è tutt'ora in questa vicenda una Donna che possiede il più grande dei poteri: donare speranza. Il primo seme di Gemma risiede in quella forza in primis nata proprio dallo sguardo che essa ha avuto nei confronti degli assassini di suo marito: uno sguardo di umanità che li rende non più solo assassini, ma anche e soprattutto persone che vivono la vita come tutti noi. Uno sguardo di umanità le ha permesso di trovare, anche nell’abisso più totale e triste della vita, una libertà che le ha donato luce allo sguardo, consegnando loro una dignità. Ecco il secondo germoglio di Gemma: il silenzio e la preghiera, due parole che ormai ella sente fin troppo sue e che sono necessarie per camminare sulla via tortuosa del perdono, il suo più fedele compagno in questo lungo cammino. Quel fedele compagno generato dal seme più grande di tutti per Gemma: la fede, che le fu donata proprio quella mattina, quando, dopo aver dato sfogo alla sua rabbia, crollata sul divano e investita dall’onda d’urto di un’esplosione, proprio lì, incontrò Dio. Quindi, la sua fede pura e trasparente, che ha definito essere come uno stile di vita, adesso la guida in ogni sua scelta di vita. Essa dice che non toglie dolore, ma fa vivere in maniera diversa, regalando ogni giorno speranza. La stessa speranza che fa germogliare dentro il cuore il perdono che non si dà ragionando con la mente, ma col cuore, in quanto è un dono e bisogna regalarlo con amore. Lo stesso amore che si può provare ancora per la vita, anche dopo una tragedia di questo tipo, che si può sentire anche nei confronti delle persone che hanno compiuto un male. Quando Gemma era piccola, sapeva già che per stare bene bisogna saper condividere il privilegio con chi non ne ha affatto: adesso gli anni sono passati, ma lei agisce sempre alla stessa maniera, condividendo con noi il suo libro, una delle prove più grandi del suo privilegio. I tre fiori di Gemma, così, sono germogliati col tempo e adesso sono più forti e vivi che mai. E uno di questi, oggi, va proprio a Luigi Calabresi. Guarda l'intervista a Gemma Milite Calabresi QUI 500 chili di tritolo esplodono sull’autostrada Trapani-Palermo, all’altezza di Capaci, spezzando la vita del magistrato Giovanni Falcone, della moglie Francesca Morvillo e degli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.
Cosa Nostra, con questo atroce gesto, pensa di aver sconfitto definitivamente uno dei suoi più grandi nemici. 500 chili di tritolo, però, non sono bastati a spegnere la voce di Falcone. Il suo coraggio, la sua umiltà e la sua determinazione continuano a infiammare gli animi di milioni di italiani. A costo della vita, è riuscito a dimostrare che la mafia non è imbattibile, ma al contrario è vulnerabile, è processabile. La mafia è un mostro silente, essa si nutre del silenzio per andare avanti. Per combatterla e per sconfiggerla dobbiamo rompere questo silenzio, dobbiamo ricordare a gran voce Falcone, Borsellino e tutti coloro che hanno sacrificato tutto per indicarci la via da seguire e per permettere a tutti noi di non inginocchiarci più alle ingiustizie. “La mafia è un fenomeno umano, e come tutti i fenomeni umani anch’essa ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine” - Giovanni Falcone di Maria Antonietta Bruscella Ore 07:30, la sveglia. E già che ci sia una sveglia, la dice lunga, perché? Beh, vuol dire che il weekend è (di nuovo) solo un lontano ricordo. Ore 07:35, dopo il caffè doppio, che oggi era più amaro del solito, sarà colpa del lunedì, guardi fuori nella speranza che almeno ci sia il sole (per i meteoropatici l’assenza di sole il lunedì è peggio di un analcolico il sabato sera). Ore 07:50, trascinando i piedi, provi a dare un senso lavorativo ad una giornata che avresti preferito passare a letto. Ma mica te la puoi prendere con il mondo, in fondo, è solo lunedì, cioè, il lunedì ha un protocollo di giornata di merda da rispettare, un protocollo ben rodato, aggiungerei.
Il lunedì è quel giorno della settimana in cui tutto sembra più difficile, in cui ognuno di noi si sente un po’ come Sisifo alle pendici della montagna troppo alta da scalare, in cui non ce n’è una che va per il verso giusto, il lunedì è quel giorno in cui, probabilmente, milioni di persone imprecanti un “è proprio lunedì”, gli attribuiscono l’origine di errori e imprevisti capitati. Bell’effetto placebo, sicuramente più valido di una Tachipirina 500 che, purtroppo, è efficace solo per la tosse, sì, quella vera, non quella dei tuoi pensieri. "Ci vorrebbe una domenica pomeriggio per ogni lunedì che non ho saputo iniziare", qualcuno cantava, molti condividevano, pochi dissentivano. Io faccio parte di quei pochi. Io penso che ci vorrebbe un lunedì mattina per ogni domenica che non ho saputo apprezzare. Non la capisco questa esigenza della nostra società di demonizzare il lunedì, di vivere la domenica non perché si vuole viverla, ma solo perché il giorno dopo è lunedì. Vi svelo un segreto: quell’illusione che tanto ci piace, quella del weekend stand-by, dove tutto fila liscio, dove le sveglie non sono puntate e i problemi non esistono, è solo un’illusione. Stand-by, vuol dire sospendere, mica risolvere: il lunedì è lì pronto che ti aspetta, con il conto in sospeso della settimana prima, tutti in fila. Ma perché ci ostiniamo contro il lunedì? Perché tutti con sta storia che la domenica è sempre una splendida giornata, che “ah, t’immagini se fosse sempre domenica”, “eh la domenica non arrivano le mail”? Io la domenica non la sopporto. Mi sembra di andare alla fiera dell’ipocrisia, quella del va tutto bene, ma solo fuori, dentro no. E vi dico una cosa, anzi, la urlo a gran voce: il lunedì è il giorno per ricominciare. L’avete mai pensato così il lunedì? Il lunedì è l’inizio, il lunedì è la vita che nasce, il lunedì è il tempo di risorgere, di affrontare, di scalare quella montagna di problemi che, se va male, stai tranquillo, c’è un altro lunedì. Per me il lunedì ha un retrogusto di vita non vissuta, ma da vivere, per me il lunedì è il giorno in cui l’araba fenice risorge dalle ceneri e ce la mette tutta. E allora, anziché ritardare la sveglia, questo lunedì, alzatevi dal letto, allacciatevi le scarpe e uscite fuori ad affrontare il mondo, perché, anche se il sole non ci sarà, il lunedì mattina saprà sempre un po’ di libertà. di Laura SiciliaSarajevo sotto assedio è la storia di un cane che gironzola fra i palazzi distrutti, di un uomo che cammina fra i ruderi di un treno, di un ragazzo che rovista fra i rifiuti cercando di accaparrarsi un po' di cibo, di un ospedale pieno di feriti. Ma è anche il calore di una domenica estiva passata fra le rive del fiume Milijaka, di due anziani che si abbracciano, di una festa per la riapertura di un giornale. I volti prosciugati e segnati dalla difficile scelta di rimanere nel proprio paese vedendolo sgretolarsi giorno dopo giorno. Fotogrammi di vita, di questa straordinaria macchina che continua anche sotto i bombardamenti. La quotidianità che cerca di farsi largo fra violenza e crudeltà, fra il freddo e la fame durante il più lungo assedio della storia del XX secolo. E forse è proprio questo il palliativo al dolore: attimi di normalità mentre si alza il volume della radio per non sentire il rumore delle bombe, mentre si va al mercato a fare la spesa sotto il tiro dei cecchini, dei fiori che crescono attorno alle macerie, del sorriso di un bambino che continua a giocare per strada mentre accanto passano i carri armati. Continuare ad essere umani durante un evento talmente disumano come la guerra. E allora uno scatto in bianco e nero potrà colorizzarsi, iniziando dal rosso, il colore dei papaveri. Clicca qui per modificare. di Federica Rino Mi piace chiedermi se, quando nessuno mi guarda, io sia la stessa persona o una completamente diversa.
Mi piace pensare e immaginare, quando guardo qualcuno, “ma è veramente così?”. Quando sono in treno, mi piace osservare le persone. Mi piace guardare come sono vestiti, immaginando il motivo per cui anche loro stanno andando in quel posto. Mi piace sorridere ad una persona con cui incrocio il mio sguardo. Mi piace fare i complimenti alle persone, anche se non le ho mai viste prima d’ora. Può svoltargli la giornata. Mi piace stare sempre in compagnia o forse è solo per non pensare? Mi piace credere di essere una persona coraggiosa. Mi piace cantare davanti allo specchio mentre mi preparo. Mi piace, ogni tanto, scappare dagli altri. Devo ricordarmi di portare tutto con me. Mi piace fare lunghe passeggiate. Mi piace sorridere. Rido per tutto, ma non sorrido con tutti. Mi piacciono le foto. I momenti rimangono lì. Mi piace il silenzio, il metro di giudizio che definisce il mio stare bene con una persona. A volte mi frega. Mi piace ballare. Mi piace il mare. Mi piacciono le onde. Mi piacciono le altalene. Un po’ meno quelle di emozioni. Mi piace il Montepulciano, il vino de “in vino veritas”. Mi piace ricordarmi di Gio Evan che mi dice che è meglio così e che sto andando benissimo. Mi piace quel bar della rabbia che mi fa sentire in una bolla il venerdì sera . Mi piace sentire cosa mi viene detto, poche volte ascolto. Mi piace essere distratta. Mi piace pensare alle cose da fare durante la giornata. Mi piace lamentarmi. Non adesso. Mi piace il testo di “Dog days are over”. Mi fa tenere a mente le cose. Mi piacciono le “cartelline trasparenti” che, come qualcuno mi ha detto, dovremmo utilizzare più spesso per conservare tutto, tutti. O non proprio. Non mi piace, però, nascondermi dai miei draghi di passaggio. Sto dipingendo quella parete che ho da sempre lasciato bianca. Grazie Gio. Cazzo, Sto andando benissimo. di Maria Antonietta BruscellaChi l’avrebbe mai detto: così, comincio a riavvolgere il nastro, poco a poco, fotogramma per fotogramma, fin quando la pellicola non segna una data. Settembre 1939.
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